Fauci, Daszak e l’EcoHealth Alliance

Inseguendo la fama scientifica, le sovvenzioni in dollari e l’approvazione del Dr. Anthony Fauci, Peter Daszak ha trasformato l’organizzazione no profit EcoHealth Alliance, finanziata dal governo americano, in uno sponsor della ricerca sui virus rischiosa e all’avanguardia sia negli Stati Uniti che a Wuhan, in Cina. 

Basandosi su oltre 100.000 documenti trapelati, un’indagine di Vanity Fair a firma di Katherine Eban mostra come un’organizzazione dedicata alla prevenzione della prossima pandemia si sia trovata sospettata di aver contribuito ad avviarne una.

Il 18 giugno 2021, un biologo evoluzionista di nome Jesse D. Bloom ha inviato la bozza di un articolo scientifico inedito che aveva scritto al dottor Anthony Fauci, il capo consulente medico del presidente degli Stati Uniti. Bloom è un 43enne occhialuto e dall’aspetto fanciullesco, spesso vestito con camicie a scacchi a maniche corte, specializzato nello studio dell’evoluzione dei virus. “È lo scienziato più etico che conosco“, ha detto Sergei Pond, un collega biologo evoluzionista. “Vuole scavare in profondità e scoprire la verità“.

Il documento che Bloom aveva scritto, noto come preprint, perché doveva ancora essere sottoposto a revisione paritaria o pubblicato, conteneva rivelazioni sensibili sul National Institutes of Health, l’agenzia federale che sovrintende alla ricerca biomedica. Nell’interesse della trasparenza, voleva che Fauci, che dirige una subagenzia del NIH, l’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive (NIAID), lo vedesse in anticipo. In circostanze normali, il preprint avrebbe potuto innescare un rispettoso scambio di opinioni. Ma questo non era un preprint ordinario, né un momento ordinario.

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Allarme per il disturbo di stress post-pandemico (PPSD)

I governi mondiali paiono focalizzati esclusivamente sul cercare di limitare la diffusione del virus, sempre più debole nonostante l’alto indice di infettività, mentre non si preoccupano del disturbo di stress post-pandemico (PPSD).

A due anni dallo scoppio dell’emergenza mondiale Covid-19 è tempo di bilanci, non solo sulla diffusione e controllo del fantomatico virus e delle sue varianti: quali effetti ha creato la gestione della pandemia da un punto di vista psicologico come conseguenza della gestione dello stress?

Mentre tutti sembrano ossessionati dal terrore di incappare nella malattia, terrore dolosamente incentivato dalla narrativa governativa e mediatica mondiale, propedeutica ad ottenere un controllo globale della popolazione, troppi colpevolmente chiudono gli occhi dinanzi alle ripercussioni sulla psiche generate delle restrizioni a cui siamo soggetti.

Mesi fa la Fondazione Veronesi, tra gli altri, metteva in allerta sugli “effetti a cascata che probabilmente saranno molto più difficili da attenuare e che espongono a conseguenze complesse, soprattutto le fasce più giovani e vulnerabili della popolazione“.

Gli esperti infatti ponevano l’attenzione, nel bel mezzo della campagna vaccinale, “sugli effetti psicologici che la pandemia ha ingenerato e ingenererà sugli individui, in particolare sui giovani e sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria.”

Nel momento in cui appaiono segnali confortanti di un nuovo anno all’insegna della conclusione definitiva dell’emergenza, che dovrebbe rientrare alla fine nella casistica endemica sempre che l’ipocondria generale venga ridimensionata, siamo ancora in tempo per mettere in atto tutti gli strumenti necessari per arginare il fenomeno PPSD?

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