
I governi mondiali paiono focalizzati esclusivamente sul cercare di limitare la diffusione del virus, sempre più debole nonostante l’alto indice di infettività, mentre non si preoccupano del disturbo di stress post-pandemico (PPSD).
A due anni dallo scoppio dell’emergenza mondiale Covid-19 è tempo di bilanci, non solo sulla diffusione e controllo del fantomatico virus e delle sue varianti: quali effetti ha creato la gestione della pandemia da un punto di vista psicologico come conseguenza della gestione dello stress?
Mentre tutti sembrano ossessionati dal terrore di incappare nella malattia, terrore dolosamente incentivato dalla narrativa governativa e mediatica mondiale, propedeutica ad ottenere un controllo globale della popolazione, troppi colpevolmente chiudono gli occhi dinanzi alle ripercussioni sulla psiche generate delle restrizioni a cui siamo soggetti.
Mesi fa la Fondazione Veronesi, tra gli altri, metteva in allerta sugli “effetti a cascata che probabilmente saranno molto più difficili da attenuare e che espongono a conseguenze complesse, soprattutto le fasce più giovani e vulnerabili della popolazione“.
Gli esperti infatti ponevano l’attenzione, nel bel mezzo della campagna vaccinale, “sugli effetti psicologici che la pandemia ha ingenerato e ingenererà sugli individui, in particolare sui giovani e sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria.”
Nel momento in cui appaiono segnali confortanti di un nuovo anno all’insegna della conclusione definitiva dell’emergenza, che dovrebbe rientrare alla fine nella casistica endemica sempre che l’ipocondria generale venga ridimensionata, siamo ancora in tempo per mettere in atto tutti gli strumenti necessari per arginare il fenomeno PPSD?
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